Virtuale quanto reale, il XXI secolo segna l’affermazione di un nuovo soggetto sociale: e’ l’Io digitale, ovvero la nostra rappresentazione in rete, riflesso del nostro io reale, il nostro primo biglietto da visita disponibile per chiunque faccia una semplicissima operazione: cercare il nostro nome e cognome su un motore di ricerca.

Questa è proprio la cosiddetta “stretta di mano digitale“, un passaggio fondamentale delle relazioni odierne, che condiziona ognuno di noi, sia nella sfera professionale che personale. Ne scaturisce una domanda, vero dilemma che aleggia, sempre tra virtuale e reale: subire o costruire la propria identità?

La risposta è in una sola parola: Reputazione. Andrea Barchiesi, ingegnere elettronico prestato al marketing e alla comunicazione, è uno dei massimi esperti in Italia di analisi e gestione della reputazione digitale e web intelligence. Pioniere della disciplina, fonda nel 2004 Reputation Manager società leader in Italia nel mercato della reputazione on line di cui è ceo, con all’attivo centinaia di casi gestiti tra personaggi pubblici, privati, aziende e istituzioni Ma come definire esattamente la reputazione dell’Io digitale?

“La reputazione è la previsione dell’esito di un rapporto, e se un promotore finanziario viene accusato di furto la previsione di un rapporto con lui sarà sicuramente che verremo truffati”, dice Barchiesi.

Autore di diverse pubblicazioni, tra cui l’interessantissimo ed ultimo “La tentazione dell’Oblio“, tema tornato prepotentemente alla ribalta sotto forma di diritto sancito da una sorprendente sentenza emessa nel 2014 dalla Corte di Giustizia Europea, per Barchiesi però la convinzione che rimuovere le informazioni sconvenienti dalla rete sia possibile e sufficiente per avere una buona identità digitale è del tutto errata. L’oblio digitale non è affatto scontato ed è anzi una forza che sottrae valore all’identità.

“La relazione virtuale è una forza invisibile sopra le nostre teste, come una corrente d’aria ma le implicazioni sono tremendamente reali. Immaginiamo che nel nostro profilo ci sia una grossa mancanza, in modo invisibile ogni giorno questo opera da freno, ci impedisce occasioni, relazioni e molto spesso ci impedisce anche di lavorare”.

E di fronte alla spaccatura generazionale di chi è stato colto nel mezzo, tra nativi digitali e pensiero analogico, queste implicazioni reputazionali diventano invece tentazione di oblio. Ma la fuga dalla rete non paga, i recruiter stessi vanno sempre più su internet a cercare conferme prima di un colloquio di lavoro ed è sempre meglio esserci sulla rete che non esserci. Cosa fare allora? Se in qualcosa abbiamo sbagliato, se il nostro Io digitale mostra segni di debolezza, c’è infatti il reputation manager che può intervenire e ripristinare il giusto equilibrio tra la nostra personalità vera e l’insieme di bit che compongono il presente, eterno sul web, del nostro essere virtuale.