Forse è colpa del greco. Il termine crisi nella sua etimologia primaria deriva dalla parola scelta, bivio. Evoca un passaggio che può essere positivo. Nell’accezione comune il termine crisi è successivamente divenuto un qualcosa di negativo, improvviso e intenso, spesso di durata ridotta. Nell’era digitale perde definitivamente i suoi contorni tanto da necessitare una revisione profonda, anche etimologica. Per comprendere come sia davvero cambiata la crisi dobbiamo fare un passaggio fondamentale e ribaltare la questione: come siamo cambiati noi nell’era digitale? Internet e i social sono uno strumento dell’uomo ma il loro utilizzo sta modificando sottilmente i suoi stessi creatori, in modalità che non erano prevedibili. Questi cambiamenti coinvolgono diverse sfere del nostro essere e meriterebbero ben più di un approfondimento.

Partiamo dalla memoria. Prima la memoria era quella di un singolo individuo che come ben sappiamo è selettiva, tende quindi a mantenere le informazioni che risultano in qualche forma rilevanti e ad opacizzare o rimuovere il restante. Vi erano poi le memorie fisiche, le biblioteche, i giornali. Sono memorie statiche (un libro una volta stampato resta com’è) a consultazione lenta (provate a cercare una informazione all’interno di un libro, a volte è difficile anche ricordare il titolo). Il mondo digitale ha introdotto una nuova memoria, una memoria collettiva, a fianco di quella individuale che è rappresentata dai contenuti presenti in rete e dai motori di ricerca che ne garantiscono l’accesso. Questa memoria collettiva ha delle caratteristiche soprendenti e uniche:

  • Partecipativa – chiunque può contribuire a questa memoria influenzando il ricordo collettivo.
  • Incrementale – questa memoria cresce ogni giorno inglobando qualsiasi informazione della giornata.
  • Consultazione istantanea – la velocità di accesso alle informazioni è dell’ordine di millisecondi (provate a paragonarla al trovare il contenuto in un libro cartaceo all’interno di una biblioteca)
  • Persistente – nulla viene cancellato, tutto resta memorizzato e accessibile.
  • Senza controllo – non esiste alcun criterio esteso di supervisione dei contenuti di questa memoria collettiva. Quindi ognuno può scrivere ciò che ritiene.
  • Evolutiva – i contenuti non sono statici, possono essere modificati o integrati anche successivamente alla pubblicazione (pensate a Wikipedia)

I più attenti hanno già capito, tutto discende da questo: una memoria collettiva smisurata, caotica che nulla dimentica, in continua evoluzione magmatica, accessibile da chiunque sia connesso con un semplice click e senza alcun controllo. Messo nero su bianco genera una certa inquietudine. Come cambia quindi la gestione della crisi?

La crisi attraverso i media tradizionali, ha una fase acuta molto rapida, rapidità che si rintraccia spesso anche nella curva di spegnimento. I media non riservano spazio a lungo alle medesime notizie. Si disegna quindi una sorta di impulso. Tutto poi sparisce.

Nel mondo digitale è molto diverso, dopo la prima fase acuta segue una fase di attenuazione (non di spegnimento), poi una ascendente di indicizzazione nei motori di ricerca per cui ogni contenuto diventa raggiungibile dagli utenti. L’oggetto della crisi si viralizza, si modifica, si radica nella websfera. Mentre nei media tradizionali una notizia smette di essere ripresa, dando la falsa sicurezza che la crisi sia passata, nel mondo on line resta sempre presente, come una bomba inesplosa in attesa dell’innesco. Con gli strumenti di analisi adatti è facile osservare come i temi non si spengano mai ma abbiano una loro evoluzione. Ciclicamente tornano, si rafforzano e si catalizzano con altre crisi dello stesso brand o del mercato. La crisi di comunicazione digitale eredita tutte le caratteristiche della memoria collettiva. Gli strumenti tipici di gestione del mondo tradizionale risultano del tutto inefficaci.

La crisi di comunicazione nel mondo digitale è come il diamante: per sempre.

Questo non significa però che una crisi sul web pregiudichi definitivamente la reputazione. Gli epic fail possono essere addirittura un’occasione per risorgere dalle proprie ceneri, nel momento in cui si trovano dei bei modi di gestire il problema e ci si trasforma in un esempio positivo, da seguire.

Abbiamo analizzato qualche tempo fa il caso Eni vs Report su Twitter, un ottimo esempio di come il brand abbia saputo gestire gli attacchi in diretta del programma televisivo argomentando tweet dopo tweet le proprie ragioni, dati alla mano, dando a tutti una magistrale lezione di comunicazione.

Come sempre il segreto del successo è la strategia, per uscire da una crisi quasi indenni è necessario essere preparati PRIMA.

Ogni azienda conosce il suo tallone d’Achille e può facilmente prevedere dove andranno a colpire i detrattori, quindi la prima regola è avere a portata di mano un piano ideale di crisis management con tempi, modi e argomentazioni chiave, che poi andranno naturalmente riviste e adattate al caso specifico.

Se poi si vuole non solo sopravvivere, ma uscirne più forti di prima, l’unico modo è quello di stupire, fare ciò che i consumatori non si aspettano. Non sono pochi gli esempi di brand che nel corso di una crisi si sono presi la briga di dedicare tempo e risorse per rispondere singolarmente a ciascun utente che criticava o si lamentava sui social: l’ultimo esempio virtuoso è Buondì che qualche settimana fa ha saputo rispondere benissimo alle numerose critiche piovute sulla sua pagina Facebook dopo la messa in onda dell’ultimo spot decisamente no politically correct in cui la mamma della bimba protagonista viene schiacciata da un asteroide. Il brand non si è nascosto dietro un dito ma ha risposto a ogni singola critica usando l’arma vincente dell’ironia, che era già alla base di tutta l’ operazione commerciale.

Purtroppo sono molti di più gli esempi in cui si sceglie la via della censura, bloccando i commenti sgraditi, oppure peggio ancora del buzz fasullo postando finti commenti entusiasti per tentare maldestramente di bilanciare quelli dei clienti (veri!) infuriati (si veda il caso Melegatti). C’è anche chi sceglie di non fare quasi nulla o di rispondere alla vecchia maniera rilasciando un’intervista ufficiale dell’AD mentre su tutto il web i clienti si indignano (si veda il caso Carpisa). Questa è la strada scelta da chi non ha capito. Il web restituisce tutto come un boomerang e in pieno viso: non esiste solo la vostra pagina aziendale dove potete filtrare e bannare, la rete è sconfinata e ci sono mille canali per scrivere ciò che si pensa. Sì, ma chi andrà mai a leggere in quel forum oltre a quelli che non hanno niente di meglio da fare tutto il giorno che stare a criticare uno spot? La risposta è CHIUNQUE! Chiunque cerchi informazioni su di voi, sui vostri prodotti, può imbattersi in quei commenti, perchè sul web sono già storia.

Quei commenti sono la vostra reputazione.