In Cina si sta diffondendo il naked loan service, finanziamenti in cambio di foto e video di nudi come garanzia. Le vittime sono ragazzini che arrivano a togliersi la vita per il disonore.

Esiste un termine in cinese, mianzi, traducibile con “faccia”, usato per indicare lareputazione e lo status sociale di una persona, ma che ne determina anche il suo valore e la sua credibilità davanti agli altri. Per i cinesi privarsi del mianzi, “perdere la faccia”, equivale a una vera e propria rovina sia personale che sociale, e non sono rari i casi di suicidio – prima cause di morte per i teenager cinesi, il 6-10% del totale dei quali ha tentato di togliersi la vita – a seguito di eventi vissuti come umilianti. Questo fenomeno si concentra principalmente nelle aree rurali, le più colpite dall’inflazione che in Cina cresce a ritmo costante dal 2010, ed è stato in parte incentivato dalla diffusione di Internet (il 28% dei naviganti risiede fuori dai centri abitati).

In un contesto come questo, così legato alla conservazione della propria immagine, si sono sorprendentemente diffusi i naked loan service. Si tratta di servizi di microcredito che, a garanzia del prestito erogato, richiedono ai creditori l’invio di selfie di nudo. A gestirli sono istituti finanziari non autorizzati o privati sprovvisti di licenza. I loro clienti sono ragazzi giovanissimi, quasi tutti tra i 19 e i 23 anni, a maggioranza femminile, alla disperata ricerca di liquidità per i loro acquisti (smartphone, tivù, prodotti high tech, ma anche hamburger e biscotti), ai quali viene chiesto di posare mettendo in bella vista un documento d’identità, il numero di telefono e l’indirizzo di casa. È a questo punto che il sistema ricattatorio è pronto per essere messo in atto. Chi è insolvente è minacciato di vedere le proprie foto diffuse sul web o inviate direttamente ad amici parenti. I giovani sono così costretti a inviare nuove immagini video per estinguere sia il prestito iniziale che gli interessi maturati, con tassi di interessi da usurai che arrivano anche al 30% a settimana. In altri casi, come riportato da molti testimoni, si arriva all’esplicita richiesta di prestazioni sessuali, a spogliarelli via web cam o alla violenza fisica. Le vittime si sentono devastate nella loro autostima e subiscono ripercussioni sia personali che lavorative, e solo a cose fatte si rendono conto di quanto la propria reputazione digitale si sovrapponga sempre più a quella reale.

Questa variante orientale del revenge porn sorprende per la cessione incosciente della propria immagine più intima, quella legata alla sfera sessuale, e la svalutazione della propria identità digitale, che diventa arma di ricatto sia economica che sociale. I creditori si sottopongono così a minacce tutt’altro che irreali: nel solo 2016 sono stati diffusi in Rete 10 GB di foto di nudo, quasi tutti con protagoniste ragazze. Come riportato da alcuni media locali, sono già migliaia le studentesse universitarieintrappolate nel sistema dei naked loan service. Il governo di Pechino, da anni attivo nel contrasto della pornografia via web (anche se molti la considerano una via per la censura politica), ha già chiuso molti degli istituti incriminati arrestando alcune delle persone coinvolte. Tuttavia, non è semplice arginare un fenomeno che ha davanti a sé un mercato potenzialmente vastissimo, fatto di circa 110 milioni di ragazzi tra i 19 e i 23 anni. A questo va aggiunto il crescente costo della vita: i giovani non riescono a star dietro ai loro desideri d’acquisto e si vedono costretti a ricorrere ai microprestiti. L’identità digitale diventa vera e propria merce di scambio. L’accesso a uno status economico e sociale altrimenti inaccessibile (“avere quello smartphone”) spinge i ragazzi a svendere la propria identità. Quando le cose vanno male, però, quel profondo senso di vergogna – quel “perdere la faccia” che nell’universo di valori cinese si lega indissolubilmente al senso del disonore – invade le persone le cui immagini diventano di pubblico dominio su Internet, con conseguenze anche tragiche per la loro vita.