I social sono una spia, un sensore della ‘pancia’ della società. Rappresentano oggi ciò che il Colosseo rappresentava per gli antichi romani, con la differenza che il ‘nuovo Colosseo’ è molto esteso e non chiude mai.
Quando accade qualcosa che tocca le corde, come fatti di cronaca particolarmente efferati, tutti questi sistemi risuonano assieme e il loro pugno è potentissimo. E, come al Colosseo, dal punto di vista della rottura delle barriere comportamentali ed etiche, si verificano atteggiamenti che non sarebbero mai accettabili in un rapporto uno a uno.
Le emozioni, anche quelle basse, sono completamente allo scoperto, mentre nella vita civile queste vengono controllate sotto lo schermo dell’esperienza. I social fungono da valvola di sfogo, e, da questi, emergono anche diverse contraddizioni. In caso di delitti, per esempio, si incita la violenza verso un soggetto per riparare alla violenza che lui ha esercitato.
Sui social media, ci sono soggetti che sono in cerca di visibilità e, per ottenerla, alzano i toni. Ma non solo: sono disposti anche a utilizzare certi avvenimenti (come anche i fatti di cronaca nera) per cavalcare il fenomeno e creare un’onda di riflesso. Quello che viene tecnicamente definito tailgating.
Ne ho parlato con Giorgio Umberto Bozzo nel corso del programma Umami su Giornale Radio (clicca sull’immagine per ascoltare l’intervista completa):
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