La crisi Ferragni non è solo pesantissima per l’influencer, ma si riverbera, come in un sistema di vasi comunicanti, su moltissimi altri ambiti. Uno di questi è il terzo settore.
All’interno delle organizzazioni no-profit, la trasparenza e la rendicontazione delle donazioni sono la prassi, ma all’esterno, nella percezione degli utenti, non è così. Fuori la beneficenza è beneficenza, nessuno sa che c’è modo e modo per farla. Dentro ci sono tutti i distinguo del mondo, ma fuori i distinguo non arrivano, non ce n’è nemmeno la percezione: allo stesso modo in cui per un veterinario la differenza tra due razze di cani è evidentissima, mentre una persona comune vede soltanto due cani.
La reputazione è questione di percezione e include evidentemente il tema della fiducia. Un concetto importante è che la reputazione è sempre un sistema di reputazioni e anche il Terzo settore è inserito qui dentro. Quando c’è una crisi reputazionale è come se si sollevasse un’onda in una vasca: ci sono sfere grandi e sfere piccole, sfere vicine all’epicentro e sfere lontane ma la vibrazione si trasferisce a tutti. Il Terzo settore anzi, essendo legato a triplice filo alla fiducia, è il soggetto più esposto di tutti. Ma, mentre le aziende si sono sfilate subito, il no-profit è stato in silenzio mentre avrebbe potuto – e ancora può farlo, trasformando la crisi in opportunità – sottolineare chiaramente la sua differenza. Sarebbe dovuto andare in tv nei giorni più caldi per raccontare la sua diversità, il fatto che i testimonial il non profit non li paga, che qui tutto è tracciato e rendicontato, che la trasparenza è un principio cardine con prassi consolidate.
Per il no-profit è il momento di fare una grande operazione di comunicazione in cui sia lui a dare le carte. Ci vorrebbe un manifesto chiaro, semplice, diretto, che spieghi perché il no-profit è differente.
La mia intervista su Vita.
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