Nonostante le numerose dissertazioni sull’era digitale, sul ruolo giocato dai social network nella comunicazione da parte di aziende, manager, personaggi pubblici e politici, mi viene spesso il dubbio che non sia ancora affatto chiaro a molti di cosa stiano parlando. Non è altrimenti spiegabile quello che è successo nelle primissime ore e nei giorni successivi alla tragedia di Genova. Il 14 agosto alle 11,36 crolla il ponte Morandi e dopo poche ore anche il titolo Atlantia, gestore di Autostrade, subisce pesanti ribassi in Borsa; gli attacchi mediatici hanno avuto in tutto questo un ruolo centrale.

Da subito inizia ad altissima velocità un tam tam di dichiarazioni da parte dei diversi soggetti direttamente chiamati in causa dalla tragedia e dai principali rappresentati del governo italiano. Nelle prime 24 ore, mentre ancora si stava accertando il numero delle vittime, abbiamo assistito a: post su Facebook di Matteo Salvini che lancia “in una giornata così triste, una notizia positiva” sul successo dell’operazione Acquarius, una diatriba tra Salvini e l’Unione europea sui vincoli che, a detta del ministro dell’Interno, impedirebbero di spendere i soldi nella messa in sicurezza delle opere pubbliche, un attacco diretto da parte del governo alla famiglia Benetton e una fake news messa in circolazione dal ministro Luigi Di Maio sul fatto che paghino le tasse non in Italia ma in Lussemburgo.

Fa molto riflettere soprattutto l’ultimo fatto, la cui verifica avrebbe richiesto uno smartphone e pochi secondi: eppure l’esigenza di velocità da un lato e la carica emotiva intrinseca della (falsa) notizia dall’altro hanno avuto la meglio. Ai tempi dei social è importante diventare protagonisti, quindi ‘intestarsi’ per primi il caso e diventarne il referente mediatico. La modalità di comunicazione è tutta in quella falsa informazione: velocità e carica emotiva. Il vero o il falso diventano un aspetto secondario, una disquisizione da intellettuali (oggi chiaramente in disgrazia). Questo tipo di comunicazione consuma se stessa in poco tempo e si rinnova in affermazioni spesso non molto più veritiere. A poche ore dall’accaduto erano già stati dichiarati a gran voce i colpevoli e dati in pasto alla folla mediatica attraverso invettive televisive, colpi di tweet e post di Facebook. In alcuni momenti un processo sembrava ormai quasi superfluo.

Proviamo ora a cambiare prospettiva e analizziamo la comunicazione dal punto di vista dell’azienda: come si può fronteggiare uno tsunami social? Le chiavi sono tre: primo, è necessario essere veloci, almeno quanto gli attaccanti. Non è più il tempo dei grandi silenzi densi di riflessioni: mentre l ’azienda disquisisce sul da farsi viene fatta a pezzi. Chiaramente la partita è asimmetrica, gli attaccanti hanno bisogno di una preparazione sommaria e sparano ad alzo zero, l’azienda al contrario deve rispondere delle sue affermazioni e mediare con un esercito di legali interni ed esterni.

L ’unico modo per affrontare ad armi (quasi) pari questa lotta è una rigorosa preparazione, avere già a disposizione delle procedure di crisi, sistemi di analisi dati, identificato potenziali scenari e definito tutti i passi necessari per le prime 48 ore. Senza preparazione non può esistere la velocità. In sintesi la crisi si ‘affronta’ realmente in tempo di pace, non quando accade. La seconda chiave è essere emozionali, partecipare umanamente è essenziale. I comunicati stampa asettici, tecnici o dettati dai legali nell’era dei social non solo non trasferiscono alcun messaggio, ma hanno l ’effetto di incendiare la massa degli utenti. La terza chiave è la semplicità, il messaggio deve essere il più comprensibile e stringato possibile. Nella comunicazione social molto spesso viene letto solo il titolo e, nonostante questo, si rilancia o addirittura si commenta.

Una percentuale ancora più alta non legge il nome della fonte da cui proviene il contenuto. Illuminante in questo senso l ’esperimento di Science Post, sito satirico americano, che ha creato un articolo fittizio dal titolo cattura like: “Ricerca: il 70% degli utenti di Facebook legge solo il titolo di quello che condivide” . Risultato 46mila condivisioni. Peccato che l’articolo fosse scritto in ‘lorem ipsum’, il testo privo di senso usato come prova standard nello sviluppo di pagine web da informatici e web designer. L’ultimo rapporto del Censis (ottobre 2017) ha evidenziato che nel corso del 2017 più della metà degli internauti ha dato credito a fake news circolate online. Facebook è la seconda fonte di informazione (3 5% ) dopo i tg (6 0% ). La comunicazione social richiede un cambio radicale di passo e mentalità, l ’alternativa è subirla completamente.

tsunami_andrea