Con Runet nasce il sovranismo digitale e si complica la partita a Risiko per il dominio cyber. Il mio articolo su Prima Comunicazione di marzo 2019.

«Devo ammetterlo, ormai il gioco mi aveva preso la mano. La Repubblica Democratica che stavo creando per mia madre, assomigliava sempre più a quella che avrei potuto desiderare io.» Sono le parole di Alex, il protagonista del film Goodbye Lenin, che continua ad inscenare all’interno della stanza di sua madre l’esistenza della DDR dopo mesi dalla caduta del muro di Berlino. Qualcosa di simile ma ben più ambizioso e pericoloso sta accadendo oggi in Russia: sono partiti i test per scollegarsi da internet e creare una propria rete separata, Runet. Sembra una notizia da trafiletto ma non lo è affatto.

Per capirlo dobbiamo allargare la prospettiva. La rete ha bruciato i confini e connesso una fetta importante della popolazione mondiale talmente in fretta da sorprendere i governi stessi. Tutto è connesso, non fanno eccezione i sistemi critici di ogni nazione avanzata che sono controllati informaticamente. Questo in parole povere significa che chi riesce ad accedere ai sistemi può bloccare banche, disabilitare centrali, interrompere le comunicazioni, arrestare l’erogazione di acqua luce e carburante. Paralizzare una nazione. I carri armati sono diventati un cimelio da usare per propaganda o provocazione. Siamo entrati nell’era delle cyberwar, le guerre informatiche in cui le macchine vengono sconfitte senza tirare nemmeno un colpo.

A questo aggiungiamo che è in atto anche una guerra “bianca” di colonizzazione infrastrutturale combattuta dai giganti USA Amazon, Facebook, Google, Microsoft, Twitter. L’Europa ha già perso senza appello e cerca di normare come può i vincitori. La Cina e la Russia resistono all’invasione con la seconda più in difficoltà. Ora credo sia più chiaro il primo significato strategico della mossa russa: una chiusura anacronistica che però rappresenta una via di uscita da una partita che era destinata a perdere. Il progetto di legge, è denominato “Programma nazionale sull’economia digitale” e garantisce che il servizio Internet della Russia possa continuare a funzionare nel caso in cui le potenze esterne tentino di disabilitarlo. Ciò significa che i dati delle proprie organizzazioni e utenti rimarranno all’interno della Russia, anziché essere distribuiti a livello globale.

L’idea di blindare digitalmente la Russia non è comunque una novità, sono in corso già da diversi anni prove ed esperimenti in tal senso. In particolare dopo il Datagate di Snowden, la Russia ha iniziato a lavorare per potenziare il controllo sui propri dati e sulle comunicazioni avvenute all’interno dei suoi domini. Attenzione però a non travisare, questa azione non è solo difensiva (come potrebbe con l‘attuale leadership?), presenta anzi un importante vantaggio in attacco: uscire da internet non significa che la Russia non potrà accedervi ma solo che gli altri non accederanno alla rete russa. In pratica non possono essere colpiti ma possono colpire esattamente come prima. Questo fatto cambia le regole del gioco.

Veniamo ora alla seconda ragione strategica di cui la prima è in parte un paravento: avere il controllo fisico della rete significa avere il controllo di quello che ci scorre. La censura non è applicabile su larga scala senza un controllo fisico come dimostra il caso Telegram (sorta di Whatsapp russo), oggetto di scontro feroce e veicolo di dissenso. In particolare già nel 2014 lo studioso Andrey Tselikov in un report per l’Internet Monitor del Berkman Center di Harvard denunciava: “Negli ultimi due anni, la sistematica regolamentazione di Internet è incrementata in Russia più che in ogni altra parte del mondo”. In poco più di 11 anni, dal 2003 al 2014, infatti, la rete russa passava da una base utenti dell’8% della popolazione al 50%, aumentando anche la percentuale di persone che la utilizzavano come canale di dissenso contro il Cremlino. Ed è proprio in questo frangente che aumentò l’azione di controllo da parte del Governo russo. Nel 2011 il Roskomnadzor, l’organismo federale che supervisiona le telecomunicazioni e i media russi, inizia a tenere una blacklist di siti (dichiaratamente a scopo “etico”, ovvero contro i domini che incitavano i giovani al consumo di droghe, al suicidio e quelli di pedopornografia), al fine di bloccarli “saltando il processo giudiziario”, cioè chiunque poteva essere inserito in blacklist dal governo senza il giudizio di una corte, mentre il giudizio diventava necessario per essere rimossi da quella lista. Nel 2013 le motivazioni per estendere l’applicazione della lista (anche se solo il 3% dei nomi iscritti risultava colpevole delle violazioni teoricamente perseguite), si allargano alla guerra alla pirateria e ai violatori del copyright, fino ad arrivare alle norme anti-terrorismo. Runet quindi è l’ultima mossa di una partita a Risiko che va avanti da almeno quindici anni. Trattasi di sovranismo digitale.