I consumatori possono giudicare le scelte di sostenibilità e, per le aziende, è un nuovo banco di prova. La mia rubrica su Prima Comunicazione di giugno.

Il mondo occidentale si risveglia e il segnale più forte che sta mandando è la corsa alla sostenibilità. Il tema ha avuto molte false partenze ma questa volta forse si fa sul serio. Di fronte a questo imperativo i brand (e la politica) devono adeguarsi. Gli annunci green, prima prerogativa di qualche “illuminato” o alcuni radical chic (quando non coincidevano) ora sono sulla bocca di tutti. Dalla piccola azienda di provincia alla multinazionale che opera in tutto il mondo è partita la gara della sostenibilità. Più che una gara ricorda tanto le dinamiche del carro del vincitore. Chi non ci salta su, perde un giro.

Questa euforia ESG è abbracciata però in modo spesso maldestro e con non poca confusione soprattutto nel mondo della comunicazione. Ci sono due aspetti che andrebbero messi in chiaro: il primo è che la sostenibilità non è solo la tutela dell’ambiente. Molte narrazioni si concentrano su prati verdi e arcobaleni. La sostenibilità abbraccia invece anche le dimensioni del sociale e della governance. Pensare di mettersi un mantello ambientale e trascurare gli altri aspetti può aprire a rovinose cadute amplificate dall’essersi posti come dei campioni della materia. E il campione che scivola fa sempre più notizia. Sta già accadendo se fate attenzione alla cronaca, ed è solo l’inizio.

Il secondo aspetto spesso trascurato è che vi è una sostenibilità reale e una sostenibilità percepita. Questi due piani sono spesso molto distinti, se la reale è superiore alla percepita siamo in un contesto di sottostima, quindi un’opportunità. In tal caso il brand è molto più virtuoso di quanto riesca a comunicare. Questo può accadere quando c’è scarsa attenzione alle dinamiche di comunicazione oppure quando si comunica in modo sbagliato. In tal senso dobbiamo notare che vi sono moltissimi indicatori di sostenibilità e sono quasi tutti tecnici, spesso il brand colleziona posizionamenti in questi rating e li indossa come fossero medaglie, sufficienti da sole ad attestare la loro virtù. Questo ha un impatto nel mondo finanziario ma siamo sicuri che tra i consumatori sia in qualche modo percepito? Il consumatore che compra la Nutella ne è in qualche modo consapevole? Difficilmente. Cosa accade invece se la percezione è superiore alla realtà? Qui entriamo in un territorio molto pericoloso, il famigerato ed emergente greenwashing. La sostenibilità di facciata. La sostenibilità diventa in questo caso un boomerang che colpirà in modo implacabile e proporzionale alla divergenza che c’è tra realtà e percezione. Tanto più il brand avrà spinto tanto più la reazione sociale sarà forte. Il concetto è analogo a quello dell’elastico, più lo tendi più accumuli energia potenziale di ritorno. La brutta notizia è che per molte aziende gli investimenti effettivi sono verificabili dai bilanci e la trasparenza, essa stessa parte della sostenibilità, condannerà molte di queste ad una scelta delicata: spingere meno nella percezione o subirne i potenziali contraccolpi.

Il ruolo della comunicazione diventa cruciale e deve incorporare l’analisi del rischio che è già di per sé una novità. Deve imparare a misurare la percezione di sostenibilità e confrontarsi con le altre parti dell’azienda per comprendere lo stato reale nella sua complessità. E decidere con delicatezza fino a dove spingersi. Non trascuriamo un ulteriore fatto, la strada della sostenibilità è impervia e cento scelte corrette non bilanciano una sbagliata. Classica situazione asimmetrica in cui chi fa teoria dei giochi sceglie di non partecipare. Vedasi caso McDonald, dichiara che il packaging sarà riciclabile entro il 2025, comincia con le cannucce passando dalla plastica al cartone per poi scoprire che non sono riciclabili. Autogol che apre al fatto che sistemare il package è relativo, il punto critico è la filiera intensiva alla base.

Abbracciare la sostenibilità per alcuni brand intrinsecamente poco sostenibili sarà come aprire il vaso di pandora. Devono esserne consapevoli. L’asse si sta spostando e movimenti come Greenpeace saranno in posizione strategica invidiabile per far sentire il loro peso. Probabilmente ne nasceranno altri. Questi movimenti avranno più potere non perché siano mutati, ma perché è il mondo che si è mosso nella loro direzione mettendoli al centro. Alcuni settori come gli energetici, quelli ad alta intensità di manodopera e food dovranno gestire una delicata transizione, va affrontata con misura e umiltà. Possiamo definire la nascita della Reputazione verde intesa nella sua accezione inclusiva delle tematiche sociali e organizzative, questa non potrà essere conquistata facendo pubblicità o con qualche rating-medaglia ma solo con una presenza quotidiana più autentica, con i comunicatori che come esperti velisti sappiano navigare tra le correnti senza eccedere. Chi forzerà in questo mare prenderà un iniziale vantaggio ma scuffierà presto.