Anonymous attacca, le ambasciate russe diffondono false informazioni, reti NoVax e NoEuro sostengono Putin su Twitter. È il nuovo arsenale delle guerre di comunicazione: chi governa la percezione governa l’opinione pubblica. La mia rubrica mensile su Prima Comunicazione.

Questa è la prima guerra dell’era digitale. Forse non la prima in assoluto ma la prima in termini di portata, vicinanza culturale e geopolitica. Una guerra non solo di carrarmati, ma anche di comunicazione. E non è affatto uno scontro tra due nazioni ma coinvolge indirettamente tutte le potenze mondiali, compresa quella europea che fa fatica a riconoscersi come tale. In definitiva uno scontro tra Occidente e Oriente. Tra democrazie ed autarchie.

Due contendenti, da una parte Zelensky, che combatte anche attraverso i social e le dirette Zoom, dall’altra parte Putin con la sua narrazione istituzionale asciutta centrata sull’attacco per denazificare e rispondere alla minaccia della Nato. La percezione è un campo di battaglia, estremamente importante poiché può significare aiuti, armamenti, intervento o sovvenzioni in grado di ridurre all’impotenza l’avversario. La posta in gioco è altissima. Da questo punto di vista Zelensky si sta rivelando un avversario formidabile. Nell’intervento al congresso USA, nella sua semplice maglietta verde militare, dice “da noi è l’11 settembre ogni giorno”. Una frase di rara potenza che rappresenta e moltiplica attraverso il ricordo. La partita di Putin dal punto di vista della comunicazione si è rivelata subito in salita, in primo luogo perché è l’aggressore e poi perché, a differenza di Zelensky, deve gestire due campi di battaglia: uno interno ed uno internazionale. E il tempo non gioca a suo favore, il protrarsi del conflitto sta aggravando entrambe le sue posizioni. Internamente deve gestire un’opinione pubblica che è addomesticata, ma non del tutto inerte.

Non a caso il servizio russo di controllo sulle comunicazioni Roskomnadzor è stato categorico: i giornali non possono parlare di “guerra” o “invasione” ma di “operazione militare speciale”. La distanza concettuale tra i due significati è enorme, ridicolmente enorme. Putin è riuscito dove Trump ha fallito: “You are fake news” tuonava inutilmente cinque anni fa Donald Trump verso una platea composta dai migliori giornalisti politici in circolazione. In Russia, invece, viene rapidamente varata una legge: chiunque – media o privati cittadini – diffonda disinformazione sull’esercito e sul governo russo rischia fino a 15 anni di carcere. Dove disinformazione è tutto quello non conforme alla linea ufficiale.

Mi ha colpito un tweet di un giovane e sprovveduto russo, quasi un grido di dolore: “Tenetevi il Donbass, ma ridatemi Netflix”. Spero sia ancora in circolazione. Dal punto di vista internazionale la partita di comunicazione di Putin è molto più complessa poiché deve veicolare messaggi del tutto diversi da quelli interni connotati da nazionalismo e restaurazione del grande impero. Su questa battaglia però è tutt’altro che impreparato. Viene dal KGB non scordiamolo, sono anni che affina la capacità di influenza utilizzando proprio i social network.

Nel 2019 abbiamo pubblicato un articolo sulla fabbrica dei troll russi, una fabbrica di falsi profili che influenzano l’opinione pubblica estera su tematiche chiave. A differenza di Zelensky che agisce in prima persona, Putin agisce in modo indiretto, ma capillare, nei singoli paesi e nella loro lingua.

In Italia abbiamo analizzato la comunicazione di decine di account TikTok che fanno post citando Vladimir Putin. Il 70% di questi è favorevole al presidente russo e l’80% degli account analizzati è stato creato o ha iniziato a pubblicare video nel corso del 2021. Non si tratta di un’operazione improvvisata. Anche su Twitter abbiamo studiato un fenomeno simile: dietro all’hashtag #IoStoConPutin c’erano pochi utenti chiave. Questi profili studiati uno ad uno avevano attivamente postato nelle campagne noVax, noEuro, noDraghi. Questa intersezione dovrebbe far molto pensare. La disinformazione elevata a sistema di influenza.

La Russia, nonostante tutto questo, sta perdendo la guerra di comunicazione. Sono entrate in gioco anche le ambasciate, e questa è una novità, subito dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol, Ucraina, le istituzioni russe hanno affermato che all’interno dell’edificio ci fossero solo combattenti ucraini, salvo poi sostenere che i feriti fossero degli attori. La tesi, palesemente falsa, è stata rilanciata anche dall’ambasciata russa nel Regno Unito, che ha accusato una donna di aver interpretato il ruolo della donna incinta e ferita. I tweet sono poi stati rimossi, come i bambini che nascondono la marachella, fanno quasi tenerezza.

La percezione è un’entità complessa da maneggiare, l’unico risultato certo ottenuto da Putin è aver creato insicurezza e quindi spinto al riarmo generale, reso più coesa l’Europa e ridato slancio alla Nato. Proprio il contrario di ciò che voleva.

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