La guerra tra Israele e Palestina è combattuta anche sui social media. A seguito dell’attacco di Hamas, i contenuti sul conflitto hanno raggiunto 98,6 miliardi di visualizzazioni su TikTok, secondo uno studio di Reputation Manager. Tra questi, anche immagini manipolate e fake news.
Si tratta di un modo pericoloso di fare propaganda e proselitismo, che rischia di avere conseguenze concrete sull’esito dello scontro.
Anche i social sono diventati un campo di battaglia, ce ne eravamo accorti già dal conflitto russo-ucraino. La prima mossa di Putin fu quella di cambiare la terminologia, da “guerra” a “operazione militare speciale”. Ridefinendo i termini si tenta di ridefinire la realtà.
Questo è un terreno molto importante, perché nelle democrazie il consenso è tutto. Spostare l’opinione pubblica in un senso o nell’altro cambia l’esito della battaglia. La posta in gioco è pratica: se le nazioni occidentali cominciassero a essere stanche di sostenere la causa ucraina, come farebbe quel Paese a resistere? La guerra di percezione sotterranea sui social è aspra e viene combattuta anche a colpi di disinformazione.
Penso alla fabbrica di troll russi emersa nel 2020 a San Pietroburgo. C’era un’intera struttura dedicata a costruire profili falsi per intervenire nella vita sociale, a livello internazionale. Un’operazione estremamente complessa.
Ne ho trattato in un’intervista con Diario del Web.