Per il GF15 picchi di audience ma inserzionisti in fuga e consumatori indignati per gli episodi di bullismo. Diventato surreale il reality vive una profonda crisi.

Ne parliamo su Prima Comunicazione.

Verso il tramonto del concetto dell’audience a ogni costo, il Grande Fratello alla sua quindicesima edizione macina numeri importanti, addirittura batte la fiction su Aldo Moro doppiandone quasi lo share. Il parallelo è imbarazzante, da un lato una delle storie più intense e significative della storia italiana e dall’altro una serie di episodi di bullismo e di personaggi paradossali come il Ken umano. Eppure gli sponsor sono in fuga. Quattro hanno mollato lo show e quattro si sono dissociati. Che cosa sta succedendo? Non è più lo share l’unico Dio? Non siamo più nel regno del “purché se ne parli”? Lo share esprime ancora il gradimento del pubblico? Per rispondere facciamo un passo indietro e analizziamo come mai siamo arrivati a queste rappresentazioni post felliniane.

Anzitutto il reality non è nato con il Grande Fratello, il primo è stato Queen for a Day, format USA del 1956, in cui alcune donne venivano intervistate sui loro momenti emotivamente e finanziariamente più difficili, il tutto sotto il giudizio di un applausometro. Più la storia era triste e intensa più l’applausometro saliva. In ogni puntata veniva incoronata la regina per un giorno e in un tripudio di sponsor veniva premiata con dei prodotti commerciali. A ben vedere c’erano già tutti gli elementi caratteristici attuali, basti pensare ad esempio al parallelo con il confessionale del Grande Fratello, la differenza sostanziale non era tanto nei contenuti quanto in una forma di sponsorizzazione talmente smaccata e sfacciata da arrivare quasi alle vette di Ok il prezzo è giusto, indimenticato format del 1983. Chiaramente catturare l’attenzione del pubblico è una sfida a difficoltà crescente. L’asticella giorno dopo giorno si posiziona sempre più in alto e la sensazione di “già visto” condanna all’oblio moltissime trasmissioni ancora prima di nascere.

Il reality quindi si deve evolvere, comincia a scindersi in tanti sottoprodotti cercando di declinare la sua formula in decine di rivoli, dalle isole dei famosi, ai matrimoni alla cieca fino alle fattorie in cui improbabili soggetti si dedicano alla vita rurale. Ma stupire è sempre più difficile e nel tempo il confine del trash e della trasgressione si è spostato sempre più in là. La logica suggeriva che questo confine non potesse essere riposizionato a piacimento ma che vi fosse un legame sottile con delle correnti che caratterizzano la nostra società e cultura.

I fatti sperimentali, però, edizione dopo edizione non davano conforto a questa tesi, la caduta era libera, senza limite. Fino ad oggi. Oggi la TV non è più quella degli anni ’80, è partecipativa, chiunque attraverso i social network può commentare in diretta, esprimere la propria opinione, chiamare in causa gli sponsor o la produzione, invocare interventi istituzionali, creare un vero e proprio show parallelo.

I media come in un corto-circuito si alimentano dei social network che li contro-alimentano a loro volta creando un effetto valanga. Tutto questo fa accendere una spia di allarme nei quadranti degli sponsor che rilevano delle situazioni critiche. Prima questo non poteva accadere poiché al massimo potevano generarsi delle “lettere al direttore” relegate al filtro delle testate e a spazi di pubblicazione di bassissima fascia. È in questo terreno che si genera l’apparente paradosso, l’audience sale e gli sponsor scappano. Siamo al tramonto dell’audience come unica metrica chiave e all’alba di considerazioni più avanzate come l’analisi dei valori che vengono veicolati e di come questi siano funzionali allo sponsor. Bullismo, sessismo, violenza e comportamenti deviati possono generare audience toccando le corde più basse della società ma non sono trasferibili positivamente ad un brand.

Il Ken umano, al secolo Rodrigo Alves, discusso ospite del GF15, si è sottoposto ad oltre 50 interventi chirurgici per assomigliare il più possibile alla controparte maschile della Barbie. Desta sicuramente curiosità e sconcerto ma queste direttrici come sono canalizzabili in valori caratteristici di un brand? Un’acqua minerale che intersezioni può avere con la sofisticazione? Analogo discorso può essere fatto riguardo agli episodi di violenza e bullismo, un brand come Nintendo che intersezione di valori può avere? Inoltre una volta scoppiata una crisi di questo tipo non è possibile assumere posizioni intermedie come dissociarsi e poi restare nel programma, quattro sponsor lo hanno fatto e stanno fronteggiando una ulteriore crisi. I Codacons stessi chiedono la chiusura del programma. Forse abbiamo toccato con mano una invisibile linea di demarcazione che non può essere superata, un punto di inversione in cui un’audience pur elevata non può prescindere da come viene generata.

Questi prodotti televisivi, sempre più simili all’arena del Colosseo, perdendo capacità commerciale perdono la loro prima ragione d’essere. Il reality che voleva raccontare la realtà l’ha ormai superata ed è caduto nel surreale.

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