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L’Arabia Saudita lancia su internet Saudipedia, la propria Wikipedia. Non sarà proprio libera e partecipativa come accade in Occidente: non ci sarà nessun controllo dei contenuti da parte della community dei moderatori.

Un nuovo proverbio orientale dice all’incirca: “Se non puoi controllarli fanne uno uguale”. La versione russa si spinge un po’ oltre, e un loro modo di dire più o meno afferma: “Eliminiamo il problema”. Non manca certo la risolutezza. Wikipedia, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti, è certamente un esempio di verità partecipativa e questa è molto fastidiosa per i regimi autoritari.

Ecco che il Medio Oriente, che nulla ha da invidiare in tema di autoritarismo a nessuno, stanco di vedere i racconti fatti in Occidente ha deciso di passare dal proverbio ai fatti: l’Arabia Saudita ha creato il suo Wikipedia di Stato. Si chiama Saudipedia, nel nome già c’è la sua dichiarazione di intenti, ed è stata presentata dal ministro dei Media Salman bin Yousuf Al Dossary il 19 febbraio scorso al Saudi Media Forum, il festival saudita di Riyad dedicato all’informazione.

Sui media internazionali la notizia è passata in sordina, in Italia ne ha parlato solo Barbara Carfagna su Il Sole 24 Ore. Eppure è un segnale su cui vale la pena riflettere. Perché l’Arabia Saudita ha aperto una sua enciclopedia digitale?

Nel comunicato ufficiale diramato dall’agenzia di stampa del governo saudita si legge che “Saudipedia mira a diventare la principale fonte di informazioni sulla leadership, le persone, la storia, la geografia e la cultura dell’Arabia Saudita. Raggiungeremo questo obiettivo fornendo una piattaforma in più lingue, a partire dall’arabo”.

Nella percezione di tutti l’enciclopedia è il luogo dell’informazione completa, oggettiva, neutrale. È il luogo della verità. E infatti facendo un giro su Saudipedia.com, nella pagina che descrive il portale, si legge: “Saudipedia fornisce contenuti neutrali ed enciclopedici che riflettono un’immagine realistica dell’Arabia Saudita e si concentra su tutti gli aspetti culturali, sociali, economici, politici, geografici e storici del Regno. Si definisce una fonte autentica che le piattaforme mediatiche regionali, arabe e internazionali possono usare“.

L’operazione è dichiaratamente propagandistica, tutt’altro che neutra. Ma giocando sul concetto di enciclopedia, si suggerisce implicitamente che lì si trovi la verità, e c’è un vago sentore religioso tra le parole. Ce ne accorgiamo subito da come sono presentati sul portale i temi culturalmente più controversi, come la condizione delle donne. C’è un’intera sezione dedicata ai ‘diritti’ delle donne saudite, dove si parla degli sforzi del Regno in tal senso. Un’affermazione che suona contraddittoria considerando, ad esempio, che in Arabia Saudita vige ancora il sistema del ‘guardiano’, per cui le donne sono dipendenti da un tutore che detta i limiti delle loro libertà.

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Questa è un’operazione di governo delle informazioni tanto importante verso l’esterno quanto verso l’interno del Paese. È inoltre un riassetto reputazionale che si inserisce in un quadro molto più ampio voluto da Mohammad bin Salman, le cui ambizioni sono sempre più chiare: essere a guida del mondo arabo e riferimento per l’Occidente. E non è la prima volta che i sauditi usano Internet per cercare di rifarsi una reputazione.

Nel 2019 aveva latto una campagna social arruolando una schiera di influencer occidentali. Quell’operazione fu però un boomerang. Una delle influencer ingaggiate, Aggio Lal, da 870mila follower, proponeva una nuova immagine della cultura araba postando su Instagram foto di sé in abiti discinti, pose patinate col velo tra cammelli e dune. Un’immagine della donna totalmente distonica, sia nel contenuto che nella forma, rispetto all’effettiva condizione femminile nel Paese. In quell’occasione i social occidentali avevano reagito duramente postando critiche e insulti sotto ai post, facendo notare quanto l’operazione risultasse finta. Evidentemente quella lezione avrà fatto pensare loro che sia faticoso esercitare la democrazia, così si è deciso di aprire un proprio canale dal quale far passare la propria versione della storia senza possibilità di essere contraddetti.

A differenza di Wikipedia, infatti, l’enciclopedia saudita non prevede il controllo dei contenuti da parte di una community di moderatori che può apportare modifiche e aggiornamenti. C’è una mail di contatto ma non c’è una chiara procedura e linee guida per suggerire modifiche o integrazioni da parte degli utenti. È informazione a senso unico.

Un’idea che sembra arrivare da lontano: dal dominio scopriamo infatti che nel 2008 e fino al 2018 era stato registrato un primo sito che però non aveva avuto successo. Questo è un segnale importante, un tassello di un’ampia strategia internazionale che andrebbe inquadrata oltre i Paesi arabi. Del resto nel 2019 avevamo parlato di RuNet, la Russia che ha creato una sua rete sconnessa da quella globale. Una mossa anticipatoria.

Articolo pubblicato su Prima Comunicazione