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Fake news: in Italia la prima condanna

La sentenza di colpevolezza dell’attivista no-vax che ha diffuso false informazioni potrebbe generare un effetto domino sui colossi del web.

Ne parliamo su Prima Comunicazione.

La politica per prima ha reso il mondo consapevole dell’effetto delle Fake news. In poco tempo ogni settore ha compreso di esserne, in diverso grado, vittima. I social network additati da molti come i responsabili di questo fenomeno sono in realtà solo quelli che lo hanno portato alla luce mostrando il preoccupante livello di disinformazione popolare. Questo non vuol dire che non abbiano alcuna responsabilità, tutt’altro, pur non generando il fenomeno ne costituiscono la via primaria di diffusione. Anche se il problema è ora abbastanza chiaro non lo sono altrettanto le soluzioni, strutturalmente inefficaci o addirittura di facciata. Qualcosa però sta cambiando. La giustizia nel suo avanzare silenzioso e senza proclami ha dato uno scossone a questo teatrino con la prima condanna in Italia per Fake News. Un’attivista No Vax, Magda Piacentini, è stata condannata a quattrocento euro di multa per procurato allarme, per aver affisso lo scorso febbraio a Modena decine di manifesti che recitano: “Non speculate sui bambini, vogliamo la verità sui danni dei vaccini – 21.658 danneggiati nel triennio 2014-2016 secondo i dati Aifa*”. 

Peccato che il numero indicato non sia riferibile in realtà ai bambini che hanno subito danni da vaccini, ma al totale delle segnalazioni sospette. Una differenza sostanziale, un’informazione falsa che ha gettato nel panico centinaia di genitori esposti a quei cartelli.

Cogliamo l’occasione per analizzare la struttura tecnica di una Fake news virale che contrariamente alle apparenze segue schemi rigorosi e complessi. Anzitutto al contrario di quanto suggerisce il nome non sono del tutto false ma hanno la caratteristica della verosimiglianza. C’è una parte di verità (il numero di casi) che può essere definita “portante” che viene legata ad un dettaglio, il “deviante”, (il numero si riferisce alle segnalazioni e non a casi di danni comprovati).

La portante così strutturata funge da passe-partout per le verifiche superficiali creando supporto alla conferma. La deviante è sempre essenziale ma sottile, riconoscerla richiederebbe capacità analitiche e cultura sopra la media. Vi è inoltre la “autorevolezza”, viene citata l’AIFA per rendere scientifico il dato. Infine il “substrato” ovvero una convinzione di fondo su cui la Fake News opera (“i vaccini provocano danni alla salute dei bambini”), un terreno che ne rafforza l’accettazione e la diffusione. L’effetto finale è dirompente.

Personalmente ritengo che su molti casi di false informazioni, come ad esempio i No Vax, non vi sia malafede ma soprattutto ignoranza e paura, associate ad una attitudine mentale di ricerca di conferma delle proprie idee piuttosto che di supporto nella formulazione. Questo approccio mentale è però ben più pericoloso della malafede. La malafede è consapevole ed agisce sottoposta al pudore della logica. L’incapacità di discernere la verità no. Questa sentenza può sembrare poca cosa se si guarda la sanzione ma in realtà potrebbe innescare un interessante effetto domino in grado di scuotere i giganti del web e le istituzioni.

Resta una domanda interessante: se la giustizia si è mossa perché Facebook e Google, per citare i principali, non hanno ancora adottato delle soluzioni radicali per arginare il fenomeno? Al netto delle difficoltà tecniche, che oggettivamente vi sono, esistono molte aree tematiche, come ad esempio i vaccini e la salute, in cui queste sono pienamente superabili. Ciononostante non vengono messe in pista soluzioni. Le ragioni quindi non sono tecniche ma strategiche e sono principalmente tre: Primo andare contro le false informazioni significa essere additati come censori e per chi vive della partecipazione degli utenti può essere fatale. Secondo, il rischio di allargare a dismisura il tema molto scomodo dell’eliminazione dei contenuti dai loro database. Terzo, provocare una serie di effetti che potrebbero portare ad un organo istituzionale che interferisca sul loro operato.  Sono ottime ragioni per il dinamismo apparente di Facebook, Google perché, per dirla con le parole di Tancredi nel Gattopardo, “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Ricorda da vicino l’operato dei commessi nei negozi di lusso, non sono mai fermi, sempre indaffarati, ma ad osservarli attentamente spostano in modo circolare sempre le stesse cose e dopo un po’ tutto torna al posto precedente. Ora serve coraggio e responsabilità, quello che la giustizia ha mostrato, tocca alle istituzioni e alle aziende affrontare il far west digitale con azioni potenzialmente impopolari. Combattere le Fake News non è ostacolare la libertà di espressione ma un atto di civiltà e, da oggi, di giustizia.

Andrea Barchiesi

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